venerdì 25 luglio 2008

Randy Pausch e la sua "last lecture"
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«Ho un problema di sistema - aveva annunciato di fronte a 400 studenti il giorno dell'ultima lezione- Benché abbia sempre goduto di forma fisica strepitosa, ho ben dieci metastasi al fegato e mi restano solo pochi mesi di vita».
«Trovate la vostra passione e seguitela - disse - non smettete di cercarla perché altrimenti ciò che state facendo è solo aspettare la Mietitrice».
Randy Pausch è stato un uomo immenso. Ha lasciato a tutti noi una lezione di vita straordinaria. Una lezione atipica, nella quale non voleva insegnare nulla a nessuno, ma in cui cercava semplicemente di convincere tutti coloro che lo ascoltavano a vivere pienamente la propria vita, al massimo delle proprie possibilità.
Mi riguardo questa conferenza da alcuni giorni, e ogni volta mi viene la pelle d'oca.
Un saluto Randy. Ovunque tu sia, Grazie.


mercoledì 16 luglio 2008


SULL’EVENTO DEL PERDERSI
di Fabio Baccelliere

Capita spesso, molto spesso, che due persone si perdano nella vita reale, o almeno in quella che, convenzionalmente, consideriamo tale. Perdersi, fisicamente e mentalmente, può essere a volte il punto di inizio di un viaggio che termina con il ritrovarsi reciproco, e in quel caso la vita prende l’aspetto di un entusiasmante progetto narrativo, fatto di alti e bassi, ascese e cadute, di un luogo magico dove risplendono incastri imprevisti e ritorni miracolosi, con i loro relativi significati, che tracimano e si sprecano, e sprecandosi, ci riempiono di senso. La distanza, in quel caso, è la sorella gemella della vicinanza, è contemporaneamente la sua necessità ed il suo antidoto.
Ma non è sempre così.
Altre volte, infatti, perdersi è soltanto un punto fermo, una conclusione. Dopo, restano gli effetti dei rimpianti, delle domande senza risposta e delle risposte chiuse nel bozzolo incancrenito del dubbio, del tempo che va avanti e del tempo che non torna indietro, del tempo che non sarà anche se avrebbe potuto essere. Non prelude, insomma, ad alcun ritrovamento, individuale o reciproco che sia. Prelude soltanto al vuoto. In questo secondo caso, la vita non prende la forma di un cerchio che si chiude, né la consistenza di uno specchio nel quale il passato si riflette, rinnovato, in un nuovo presente. Non è un progetto narrativo, o forse lo è, ma è una narrazione aperta, inconclusa, infinita, non-finita.
Poi, si sa, tutti i vuoti si colmano. La vita di ciascuno è sì un grande romanzo, ma non tutti i romanzi sono uguali: ci sono quelli con una lunghissima e unica linea narrativa, e quelli fatti di storie molteplici, che si scontrano, incontrano, incrociano, o semplicemente si susseguono. E quindi i vuoti ci saranno sempre, alla fine di una di queste storie, e tutto sta nel colmarli di volta in volta, per portare avanti il romanzo, fino alla fine del proprio tempo, fino alla fine del proprio mondo.
Tutti i pozzi possono restare prosciugati, e tutti i pozzi possono essere nuovamente riempiti. Ma a una domanda potremmo non saper rispondere: davvero quell’acqua ha riempito tutto il vuoto, oppure si sono conservate delle bolle d’aria, e dentro di essere ancora resta qualcosa di quel vuoto precedente? Perché il vuoto è sempre qualcosa che può restare, e crescere all’interno di un apparente pieno, come un virus, un parassita, una malattia, un embolo silenzioso. In quel caso il passato disturberà il presente e marchierà surrettiziamente di sé il futuro…
Allora non resta che tornare indietro. Per sicurezza, diciamo così. Per ascoltare quella perdita iniziale, capire se era un preludio o un epilogo, un inizio o una fine. Se non si riconosce la natura delle proprie storie personali, si rischia di non capire se stessi mai, di non riconoscersi, e di non riconoscere gli altri. E se gli altri non ti riconoscono, non possono viverti, e se non possono viverti, tu non vivrai del tutto, se non in te stesso.
Non vivrai del tutto, se non in te stesso…

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